Davide Frisoni

Pittore

Il signore dei pennelli

I piedi nudi su un pavimento gelido. È con questo gesto di stoica sopportazione che si presenta Davide Frisoni.

Altrettanto stoicamente lo immagino dipingere i suoi quadri poiché li realizza in un unica sessione, senza concedersi pause, spesso, parole sue, lasciando a disposizione della fantasia dello spettatore un nonfinito di ispirazione michelangiolesca, omaggio al Grande del Rinascimento che lo ha conquistato fin da quando, decenne, rimase folgorato alla vista della pietà Rondanini, grazie a una maestra illuminata che lo aveva portato al suo cospetto assieme a tutta la classe.

Già allora Davide rivelava il suo talento e l’Accademia di Belle Arti fu scelta naturale.

All’inizio della sua carriera, l’amore per i mondi fantastici di Tolkien fece di lui un illustratore fantasy, ma poi prevalse la pittura.

Dopo un primo incontro, tra noi c’è stata una lunga pausa fin quando si è ripresentato con l’idea di questa storia introspettiva e personale. Davide che in pittura mal sopporta il predominio del concetto sulla maestria, qui gli concede spazio per raccontarci il sentirsi un tutt’uno con le proprie opere. Lo fa scegliendo di esserne permeato, di sposarne i riflessi, di mescolarsi alle pennellate con le quali rivela quella faccia del mondo da cui è irresistibilmente attratto, caratterizzata dalla prospettiva allungata in cui le gocce di pioggia, al termine del loro viaggio, trasformano l’asfalto in uno specchio.

Fondere quadro e figura era la sua precisa esigenza. Facendolo aderire ad un muro ho dato origine ad una immagine bidimensionale come un mosaico, non fosse per il pugno di fotoni che, colorando di verde i piedi scalzi, testimoniano della sua reale presenza in scena.

Sono felice che Davide mi abbia permesso di affiancarlo nella realizzazione di questo ritratto che come una affiatata squadra di minatori, nell’oscurità di un grande ambiente sotterraneo, abbiamo estratto dal profondo delle nostre fantasie. 

Rimini,

9 febbraio 2021

Davide Frisoni

Pittore

Il signore dei pennelli

I piedi nudi su un pavimento gelido. È con questo gesto di stoica sopportazione che si presenta Davide Frisoni.

Altrettanto stoicamente lo immagino dipingere i suoi quadri poiché li realizza in un unica sessione, senza concedersi pause, spesso, parole sue, lasciando a disposizione della fantasia dello spettatore un nonfinito di ispirazione michelangiolesca, omaggio al Grande del Rinascimento che lo ha conquistato fin da quando, decenne, rimase folgorato alla vista della pietà Rondanini, grazie a una maestra illuminata che lo aveva portato al suo cospetto assieme a tutta la classe.

Già allora Davide rivelava il suo talento e l’Accademia di Belle Arti fu scelta naturale.

All’inizio della sua carriera, l’amore per i mondi fantastici di Tolkien fece di lui un illustratore fantasy, ma poi prevalse la pittura.

Dopo un primo incontro, tra noi c’è stata una lunga pausa fin quando si è ripresentato con l’idea di questa storia introspettiva e personale. Davide che in pittura mal sopporta il predominio del concetto sulla maestria, qui gli concede spazio per raccontarci il sentirsi un tutt’uno con le proprie opere. Lo fa scegliendo di esserne permeato, di sposarne i riflessi, di mescolarsi alle pennellate con le quali rivela quella faccia del mondo da cui è irresistibilmente attratto, caratterizzata dalla prospettiva allungata in cui le gocce di pioggia, al termine del loro viaggio, trasformano l’asfalto in uno specchio.

Fondere quadro e figura era la sua precisa esigenza. Facendolo aderire ad un muro ho dato origine ad una immagine bidimensionale come un mosaico, non fosse per il pugno di fotoni che, colorando di verde i piedi scalzi, testimoniano della sua reale presenza in scena.

Sono felice che Davide mi abbia permesso di affiancarlo nella realizzazione di questo ritratto che come una affiatata squadra di minatori, nell’oscurità di un grande ambiente sotterraneo, abbiamo estratto dal profondo delle nostre fantasie. 

Rimini,

9 febbraio 2021

Dentro l’opera

Il mio desiderio come artista è sempre quello di riconoscere nell’opera una parte di me stesso, un pezzo di cuore, una scintilla di anima.

Così quando dipingo cerco una immedesimazione totale, attraverso il gesto, un colpo di spatola, una spruzzata di colore. Scegliendo di dipingere grandi tele per poterci entrare dentro, anelando una mimesi. Come un camaleonte mi muovo tra la tela e i colori, gesticolando, saltando, colpendo, strisciando, inveendo, accarezzando, insultando e cantando. Non c’è atto creativo e contemplativo che non richieda la carne.

Il corpo stesso è uno strumento. Come il colore, il pennello o la spatola. E’ lo strumento primo dell’espressione.

Dipingo con le spatole per non cadere nella tentazione della “riproduzione”.

Dipingo su tela perché mi serve il rimbalzo, la risposta della tensione della tela su telaio.

Dipingo in una sola sessione perché quella luce, quel colore, quella tensione, nascono e finiscono con ogni opera. Ogni quadro è una storia a sé. E’ il racconto di quell’istante, che porta dentro tutti gli istanti che hanno portato a quel momento creativo.

Il percorso intrapreso invece è un fiume in piena o meglio, una strada. Simbolo stesso del viaggio, dell’andare sempre oltre. Sostando a volte a riconoscere volti, particolari di asfalto, di luce, di riflessi, ma senza mai abbandonare l’impresa. Incontrando la realtà cercando ovunque il senso stesso della vita.

Questo è il mio viaggio, la mia strada, la mia responsabilità. E nessuno può farlo al posto mio.

Davide Frisoni