Annalisa Teodorani

Poetessa dialettale

Accesa

È una presenza gentile quella di Annalisa Teodorani che per il suo ritratto ha voluto con sé le zolle della sua terra e del suo borgo, Santarcangelo di Romagna, ma anche le parole di un libro.

Nel nostro primo incontro si era detta meravigliata del mio interesse e si era schermita adducendo di non aver idee, ma ben presto domande e risposte hanno dato corpo alla sua storia.

E io l’ho immaginata così, sul far del giorno, accesa da un lampo di luce.

Ferma in un momento in cui nella sua mente si vanno a serrare come nelle file di un abaco, le singole lettere delle parole che ha scelto per disegnare con talento da rabdomante, miniature di ricordi.

Parole di una lingua antica, un tempo comune ed oggi ad un passo dall’oblio, che Annalisa contribuisce a conservare.

È la lingua dei nonni, quella con cui i countadóin incitavano i buoi a cancellare col vomere le stoppie del grano, quella con cui le grida delle arzdòre riducevano a casa frotte di bambini sul far della sera.

Sonorità arcane, impastate negli intonaci delle case assieme ai virtuosismi dei clarinetti e delle fise, conficcate tra i ciottoli delle vie, sfiorati dai passi degli innamorati e battuti da zoccoli e carretti lentamente in marcia verso la pianura e più in là, verso quella “riga blu”che, quasi come una riga di bistro, nella bassa Romagna sottolinea l’orizzonte.

I versi di Annalisa hanno la luce soffusa dei giorni di nebbia, raccontano di “zie dalla scorza dei cipressi che col rosario in mano hanno vegliato un solo dolore alla volta, di un amore che è come una diga senza nemmeno un rubinetto, di giovani spose come falene che perdono l’argento per una folata di vento, di una bambina leggera in un’aria tutta da bere.”

E di una donna, che “se la accendi diventa un fiammifero, quel filo di cenere che sta su per miracolo”.

Ma non cade.

Santarcangelo di Romagna,

24 Luglio 2020

Annalisa Teodorani

Poetessa dialettale

Accesa

È una presenza gentile quella di Annalisa Teodorani che per il suo ritratto ha voluto con sé le zolle della sua terra e del suo borgo, Santarcangelo di Romagna, ma anche le parole di un libro.

Nel nostro primo incontro si era detta meravigliata del mio interesse e si era schermita adducendo di non aver idee, ma ben presto domande e risposte hanno dato corpo alla sua storia.

E io l’ho immaginata così, sul far del giorno, accesa da un lampo di luce.

Ferma in un momento in cui nella sua mente si vanno a serrare come nelle file di un abaco, le singole lettere delle parole che ha scelto per disegnare con talento da rabdomante, miniature di ricordi.

Parole di una lingua antica, un tempo comune ed oggi ad un passo dall’oblio, che Annalisa contribuisce a conservare.

È la lingua dei nonni, quella con cui i countadóin incitavano i buoi a cancellare col vomere le stoppie del grano, quella con cui le grida delle arzdòre riducevano a casa frotte di bambini sul far della sera.

Sonorità arcane, impastate negli intonaci delle case assieme ai virtuosismi dei clarinetti e delle fise, conficcate tra i ciottoli delle vie, sfiorati dai passi degli innamorati e battuti da zoccoli e carretti lentamente in marcia verso la pianura e più in là, verso quella “riga blu”che, quasi come una riga di bistro, nella bassa Romagna sottolinea l’orizzonte.

I versi di Annalisa hanno la luce soffusa dei giorni di nebbia, raccontano di “zie dalla scorza dei cipressi che col rosario in mano hanno vegliato un solo dolore alla volta, di un amore che è come una diga senza nemmeno un rubinetto, di giovani spose come falene che perdono l’argento per una folata di vento, di una bambina leggera in un’aria tutta da bere.”

E di una donna, che “se la accendi diventa un fiammifero, quel filo di cenere che sta su per miracolo”.

Ma non cade.

Santarcangelo di Romagna,

24 Luglio 2020

Una zèsta

Lasém a lè

dò ch’a m’ avói vést

cumè cla zèsta

s’ghéffal ad lèna

si férr instécch.

Una cesta

Lasciatemi lì

dove mi avete vista

come quella cesta

con i gomitoli di lana

con i ferri infilzati.

Annalisa Teodorani