ardente estense
Galleggia la bandiera. Galleggia nell’acqua tiepida, mentre le mani dolcemente la strofinano, lavando via anche la più piccola macchia. Quelle mani che l’hanno custodita con cura tra poco la stenderanno ad asciugare al sole, per poi stirarla e toglierle ogni piega, ogni minima grinza perché sia splendida nei suoi colori. Quindi si occuperanno di ogni dettaglio, nastrando il suo manico, assicurando il cannone all’asta e fissandola col nastro alla punta in modo che da ultimo, in una nuvola di talco, la bandiera sarà pronta.
Intanto in strada, solenne il corteo si snoda. Tra due ali di folla riporta indietro l’orologio del tempo con le vesti dei suoi figuranti, col loro incedere maestoso e lento, retaggio di un passato più umano. Un passato che l’oggi desidera, ma non può più permettersi soggiogato com’è dal ritmo delle macchine, incatenato alla logica binaria di un tempo frenetico e digitale. Un tempo moderno attraverso il quale la bandiera incurante scivola, orgogliosa di avere il potere di strappare le “sue” mani a quelle grinfie. Anche se solo per qualche ora.
E la danza comincia.
Dapprima lenta, poi sempre più veloce la bandiera gira, gira e gira in un turbinare di colori; con il suo disegno scomposto in un caleidoscopio di immagini imprevedibili, in arabeschi sempre diversi, in variopinte scie irripetibili che incantano e rapiscono gli sguardi, si gode l’ebbrezza dell’aria fresca e la stretta delle mani sulla sua impugnatura. Una stretta forte, ma gentile, che la fa sentir sicura nell’avvicinarsi al momento più atteso.
All’improvviso, un’accelerazione la fa vibrare: ora una mano punta veloce e decisa verso l’alto, poi lascia l’impugnatura e scivola lungo l’asta e lei, capovolta, sente tutta la forza dell’uomo attraversarla. Ecco l’energia del lancio catapultarla, facendola salire in alto e in questa sfida alla gravità la bandiera finalmente si libra, nel privilegio del volo.
Arrotolata su se stessa dalla forza dell’aria la bandiera sfreccia e come in un corto circuito spazio temporale creato dalla velocità, i suoi disegni e i suoi colori si confondono quasi irriconoscibili, spogliandola della sua identità.
E si trasforma. Indossa ora una veste universale, quella dell’icona di mille bandiere che
hanno solcato e anche oggi solcano i cieli dei secoli.
Un tempo aquile di guerra, oggi colombe di pace.
E sale, sale, sempre più in alto, più sù, ancora più sù, fino a dove sembra impossibile arrivare e all’apice della salita si ferma senza peso, per un attimo infinito.
Quell’attimo in cui, nuovamente aperta, si rivela e sembra gridare con gioia: < Eccomi! Sono io, i miei colori non mentono, il mio disegno grida a tutti che la mia contrada è quassù! Tra gli squilli di cento chiarine e il rombo di tuono di cento tamburi noi siamo qui, più in alto di tutti, a sfiorare le nuvole nel cielo infinito!>.
Come le appaiono strani gli umani da quassù, con i loro visi rivolti in alto, le loro bocche spalancate, i loro colli estesi per vedere meglio, le loro mani intente a proteggere dal sole gli occhi, sgranati per guardare lei e solo lei.
Ma poi la terra la chiama, l’estasi sospesa ha la sua fine e si trasforma in un brivido noto, che cresce sempre più forte, fortissimo, nel tuffo a capofitto della discesa. La caduta la fa stringere nuovamente all’asta e nuovamente trasfigurata, precipita verso quel mare di sguardi, la bandiera precipita e cerca la mano, cerca le dita, cerca il porto sicuro di quel palmo, di quella presa.”.
Laggiù, se tanti occhi aspettano bene auguranti e pronti a gioire e ad applaudire, alcuni meno benevoli cullano l’inconfessabile speranza che qualcosa possa andar storto dando ad altri un vantaggio, perché questa è una gara. Anzi, questa é LA gara, per preparar la quale ore di lanci e di prove si son susseguiti a decine, a centinaia fino a perderne il conto.
La gara in cui, per essere Campioni, tutto si osa ed è in gioco ogni cosa.
Giù, sempre più giù la bandiera scende sicura perché lo sa che la mano è là, tesa in sua attesa e la sente vicina, sempre più vicina.
Quella mano con le quale danza ogni giorno è là, ed è pronta a fare quello che la bandiera sa che quella mano sa fare meglio di ogni altra mano: è pronta ad afferrarla, come mille e mille altre volte prima e mille e mille altre volte in futuro, è pronta, perché tra gli applausi del mondo la loro danza possa continuare nel vento.
E domani, nuove mani e nuove bandiere si incontreranno e muoveranno assieme l’aria leggera, perché la grande storia d’amore tra le mani e le bandiere possa continuare ad affascinare, per sempre.
Questo lavoro racconta la storia d’amore che gli sbandieratori di Ferrara, le loro mani e le loro bandiere mi hanno raccontato, così come l’han vista i miei occhi attraverso il filtro della mia fantasia.
Roberto Baroncini
Ferrara, settembre 2015 / aprile 2016
NOTA DELL’AUTORE
Quando l’allora Presidente dell’Ente Palio Alessandro Fortini mi propose di lavorare sulla Tenzone Aurea, mi sono chiesto: quale contributo di novità posso dare alla fotografia applicata al gioco delle bandiere?
Approfondendo il tema mi sono reso conto che rimanendo all’interno dei canoni iconografici tradizionali non avrei potuto fare granché, perché esistono già moltitudini di splendide fotografie fatte da fior di fotografi che lo descrivono.
Nella stragrande maggioranza dei casi però, in maniera piuttosto simile e stereotipata.
Riflettendo poi su questa nobile arte, o sport che dir si voglia, ho notato come esso sia animato da un oggetto inanimato (la bandiera appunto) che si anima traendo vita dalle mani dello sbandieratore.
Ecco la mia storia!
Storia che ho voluto raccontare con un approccio governato dal sentimento e dalla fantasia, raccontando la storia d’amore tra mani e bandiere mostrata in tutti i gesti che la testimoniano, anche quelli che normalmente sono celati o sfuggono agli occhi di spettatori e contradaioli.
Fantasia e sentimento cui ho dato libero sfogo sia nella stesura del testo che nella realizzazione delle immagini.
Tutte le quaranta fotografie che compongono Ardente Estense sono caratterizzate da inquadrature molto strette, volute per rendere mani e bandiere protagoniste assolute della scena, ma anche dal formato verticale scelto per rappresentare il viaggio terra-cielo-terra, che della liturgia dello sbandierare è di fatto il culmine, presentato dai trittici che riguardano lanci e prese che si trovano in ognuna delle serie.
Anche se mi sono formato con la fotografia analogica, utilizzando la macchina fotografica come mezzo espressivo non ho pregiudizi e anzi, dato che amo sperimentare, sono interessato a tutte le possibilità espressive offerte dalla fotografia digitale.
Tra le scelte stilistiche di Ardente Estense, lavoro realizzato per l’appunto tutto in digitale, sono ricorso anche al processo a ritroso che dall’immagine positiva permette la realizzazione di negativi a colori.
Questa tecnica, più volte mia in passato, mi ha permesso di realizzare immagini iconiche e poetiche che trasformano idealmente le bandiere estensi negli alter ego di tutte le bandiere che hanno solcato i cieli della storia. Ne trovate una in ogni serie.
Sono affascinato dai negativi digitali. Spero che quelli che vedrete in queste sale affascineranno anche in voi.
Infine, a completamento di ogni serie, uno scatto che rivela la cura che lo sbandieratore ha per la sua amata e un ritratto posato, che presenta i due “amanti ” collocati inequivocabilmente nella loro città, ma al di fuori del tempo.
Tutto questo per raccontare con una storia nuova, uno spettacolo vecchio di secoli.
Mentre il progetto prendeva forma è cresciuto l’interesse nei suoi confronti ed è stato deciso di estenderlo a tutte e otto le contrade. Questo mi ha permesso di tornare più volte a Ferrara e di toccare con mano quanto sia ardente la passione degli sbandieratori ferraresi per il gioco delle bandiere.
Passione cui ho deciso di rendere omaggio con il titolo del libro e della mostra: “Ardente Estense”.