Roberto Mercadini

Narratore teatrale e scrittore

La voce del silenzio

Anni fa ho avuto l’opportunità di entrare all’interno di una camera anecoica.

Una volta chiusa alle spalle la porta di quello strano ambiente, popolato da centinaia di piccole piramidi, ogni rumore svanisce e si può avvertire la sensazione quasi fastidiosa che si prova al cospetto della voce del silenzio.

Ora, immagino che chi ha assistito ad un monologo di Roberto Mercadini si starà chiedendo come mi venga in mente di associarlo al silenzio assoluto.

Infatti nelle sue narrazioni Roberto travolge lo spettatore con un fiume di parole che a tratti si impenna in furenti rapide e a tratti, raggiunto uno slargo, si quieta per porre domande o suggerire risposte, ripetute e ribadite con forza per fissarle nella memoria del pubblico. E questo mentre riempie la scena della sua sola presenza, del suo muoversi continuo, dei gesti ampi e delle espressioni caricate che usa, come si farebbe con delle puntine da ingegnere, per dare ordine logico al pensiero. Atto questo che non ha nulla a che vedere con la funambolica affabulazione e la giocoleria verbale di un virtuoso della parola.

Quindi, ordine e silenzio sono proprio le parole che userei per Roberto Mercadini.

Perché adesso so che, nelle innumerevoli ore che trascorre nell’incubatoio del silenzio, lui trasforma la sua mente in un grande digestore col quale processare le informazioni e i diversi punti di vista, per poterceli restituire correlati tra loro e incasellati in una sequenza dominata dall’ordine tipico di un icosaedro platonico. Il solido regolare dalle venti facce la cui forma, sintetizzata dalla scultura eterea realizzata da Manolo Benvenuti per questo ritratto, gli nasconde la bocca e materializza l’archetipo del suo narrare, che ci porge con espressione felice quasi pregustasse lo stupore col quale lo accoglieremo, ancora una volta meravigliati dal suo approccio pieno di fantasia.

San Mauro Pascoli,

25 maggio 2020

Roberto Mercadini

Narratore teatrale e scrittore

La voce del silenzio

Anni fa ho avuto l’opportunità di entrare all’interno di una camera anecoica.

Una volta chiusa alle spalle la porta di quello strano ambiente, popolato da centinaia di piccole piramidi, ogni rumore svanisce e si può avvertire la sensazione quasi fastidiosa che si prova al cospetto della voce del silenzio.

Ora, immagino che chi ha assistito ad un monologo di Roberto Mercadini si starà chiedendo come mi venga in mente di associarlo al silenzio assoluto.

Infatti nelle sue narrazioni Roberto travolge lo spettatore con un fiume di parole che a tratti si impenna in furenti rapide e a tratti, raggiunto uno slargo, si quieta per porre domande o suggerire risposte, ripetute e ribadite con forza per fissarle nella memoria del pubblico. E questo mentre riempie la scena della sua sola presenza, del suo muoversi continuo, dei gesti ampi e delle espressioni caricate che usa, come si farebbe con delle puntine da ingegnere, per dare ordine logico al pensiero. Atto questo che non ha nulla a che vedere con la funambolica affabulazione e la giocoleria verbale di un virtuoso della parola.

Quindi, ordine e silenzio sono proprio le parole che userei per Roberto Mercadini.

Perché adesso so che, nelle innumerevoli ore che trascorre nell’incubatoio del silenzio, lui trasforma la sua mente in un grande digestore col quale processare le informazioni e i diversi punti di vista, per poterceli restituire correlati tra loro e incasellati in una sequenza dominata dall’ordine tipico di un icosaedro platonico. Il solido regolare dalle venti facce la cui forma, sintetizzata dalla scultura eterea realizzata da Manolo Benvenuti per questo ritratto, gli nasconde la bocca e materializza l’archetipo del suo narrare, che ci porge con espressione felice quasi pregustasse lo stupore col quale lo accoglieremo, ancora una volta meravigliati dal suo approccio pieno di fantasia.

San Mauro Pascoli,

25 maggio 2020

L’altro lato delle parole

Aggrediamo tre luoghi comuni, tre apparenze.

Uno. Sono un narratore teatrale: in apparenza il mio lavoro consiste nel parlare. Per me è vero il contrario. Per scrivere un monologo nuovo, che durerà poco più di un’ora, devo raccogliere materiale e studiare per almeno un mese. In quel tempo ascolto chi ne sa più di me, e intanto sto zitto. Leggo, e intanto sto zitto. Perciò, in conclusione, sto zitto un mese intero per poter parlare un’ora. Dunque la mia attività principale è indubbiamente quella di stare zitto. Non mi lamento. Il fatto è che io sono così: mi piace ascoltare più che prendere la parola.

Due. Sono un teatrante: in apparenza il mio lavoro consiste nello stare davanti a centinaia di persone, sotto la luce dei riflettori. Per me è vero il contrario. Nel mese di cui sopra, sto per lo più da solo. Perché si studia, si legge, si consultano i documenti, si pensa, si scrive da soli (salvo rare eccezioni), spesso di notte. La solitudine perdura fino ad un attimo prima di entrare in scena: me ne sto chiuso in camerino, a cercare un poco di concentrazione, mentre gli spettatori già si salutano nel foyer o scambiano quattro chiacchiere. Non mi lamento. Il fatto è che io sono così: sto volentieri da solo.

Tre. Sono un artista: in apparenza il mio lavoro è fantasia, improvvisazione, estro, capriccio. Per me è vero il contrario. Per far comprendere a chi mi ascolta quello che racconto, ho la necessità di essere quanto più chiaro mi è possibile. E, per essere chiaro, ho la necessità di mettere ordine nelle idee. Solo se ogni passaggio è consequenziale, solo se la logica è cristallina, solo se la catena delle cause e degli effetti è nitida il mio monologo sarà coinvolgente per il pubblico e io riuscirò a memorizzarlo in un tempo ragionevole. Non mi lamento, il fatto è che io sono così: amo la razionalità. Per questo mi piacciono tanto i solidi platonici, in particolare l’icosaedro, il mio preferito.

Dunque, quando Roberto Baroncini mi ha proposto di indicargli un ritratto che rispecchiasse davvero la percezione che io ho di me stesso, a poco a poco ha preso forma questa foto.

Sono solo, tengo fra le mani un icosaedro costruito usando cannucce di bambù (un’opera dell’artista Manolo Benvenuti), uno spigolo del poliedro mi copre le labbra, come chiamandomi al silenzio. Sorrido (mi ritengo, in effetti, una persona immensamente fortunata).

Cosa sto facendo? Osservo il poliedro, ammirandone l’ordine? Osservo il mondo attraverso il poliedro, come attraverso una lente, cercando di vedere un ordine in esso e di comprenderlo? Sono entusiasta per la bellezza del poliedro e lo porgo a chi mi sta davanti (come faccio sul palco, condividendo con chi mi ascolta le storie che più mi entusiasmano e mi appassionano)? Tutte e tre quelle cose, mi sembra, racchiudono l’essenza di quello che tento di fare, giorno dopo giorno. Mi verrebbe da dire: l’essenza di ciò che sono.

Roberto Mercadini